Michelangelo e la femminilità di Dio

La celebre immagine della Creazione di Adamo, con il bellissimo nudo maschile, vede il primo essere umano staccarsi dalla terra, l’adamah da cui è stato plasmato. Ciò avviene in virtù del tocco vitale di Dio, in un modo che ricorda le parole di Lattanzio sulla dignità dell’essere umano.

«Quale prova più evidente potrebbe addursi del fatto che Dio ha creato il mondo per l’uomo e l’uomo per sé, di questa che tra tutti gli esseri viventi solo l’uomo così è stato foggiato che i suoi occhi sono rivolti al cielo, la sua figura tende a Dio, il volto è simile a quello del suo padre, e sembra che Dio quasi porgendo la mano all’uomo lo abbia sollevato da terra e volto in alto a contemplarlo?»
(LATTANZIO, Divinae Institutiones)

MICHELANGELO, Creazione di Adamo (affresco) 1511, CITTÀ DEL VATICANO, Cappella Sistina

Con il braccio destro infatti il Creatore si protende verso la creatura, mentre il braccio sinistro si perde tra le figure che affollano il suo manto. In questo turbinio di angeli si riconoscono però due personaggi che differiscono per la particolarità delle espressioni e per la posizione che li vuole stretti al braccio potente dell’Eterno. Il primo, all’estrema destra della scena, è stato identificato da Pfeiffer come il Figlio (1), il Verbo che assumerà la carne nel ventre della Vergine, il prototipo dell’Adamo, sulla cui immagine è stato modellato il primo essere umano. A ben guardare infatti le estremità delle “dita” di Dio puntano precisamente al Bambino e ad Adamo, come a voler creare un ponte tra le due figure.

Il secondo personaggio, che sbuca dal fianco del Padre e si colloca a metà tra lui e il Figlio è stato spesso identificato, a causa dei lineamenti femminili, come una prefigurazione di Eva in procinto di essere creata dal fianco di Adamo; tuttavia la fisicità androgina di questa sconosciuta figura rende difficile pensare a lei come alla “madre dei viventi”. La studiosa Jane Schuyler ha proposto allora l’ipotesi che tale personaggio possa simboleggiare la Shekinah, cioè la componente femminile di Dio, al modo di una delle tre persone trinitarie: lo Spirito Santo. La sua ipotesi si basa sullo studio delle fonti ebraiche e cabalistiche che potevano essere note a Michelangelo grazie alle sue frequentazioni ebraiciste; tuttavia un tale concetto poteva essere familiare al Buonarroti anche per tramite delle fonti cristiane, in particolare dai testi di Ireneo di Lione, il quale, nel secondo secolo dell’era cristiana, aveva accennato ad una realtà femminile, la Sapienza divina (2), non in relazione al Figlio – come verrà sancito successivamente nella tradizione cristiana – ma riferendosi proprio allo Spirito Santo (3). Ammettendo dunque che Michelangelo avesse potuto ritrarre la Trinità secondo un’iconografia piuttosto eterodossa (4), ciò avrebbe permesso all’artista di fondare in Dio stesso la simbologia delle figure maschili e femminili che si ripetono negli affreschi della volta e altresì avrebbe potuto richiamare, in un modo certamente inconsueto, la creazione dell’umanità come opera trinitaria, secondo quella che era da sempre la sottolineatura agostiniana.

MICHELANGELO, Particolare dei putti reggicolonna nelle riquadrature della volta (affreschi) 1508-1512, CITTÀ DEL VATICANO, Cappella Sistina

(1) Cf. H. W. PFEIFFER, La Sistina svelata. Iconografia di un capolavoro, Milano 2007, 214. Anche secondo Elizabeth Lev e José Granados il bambino può richiamare il Verbo: «tra gli esseri accanto a Dio c’è anche un bambino che ci guarda, che può essere interpretato come la raffigurazione anticipata di Gesù, Se fosse così, allora l’Incarnazione apparirebbe qui come termine ultimo della creazione dell’uomo nella storia della salvezza» (E. LEV – J. GRANADOS, Un corpo per la gloria, Teologia del Corpo nelle Collezioni Papali. Gli antichi, Michelangelo e Giovanni Paolo II, Città del Vaticano 2014, 67-68).

(2) Anche Piero Stefani ritiene che la figura dall’aspetto femmineo possa simboleggiare la Sapienza. Essa infatti, secondo l’inno nel libro dei Proverbi (cf. 8,22-31) era presente all’opera di creazione (cf. P. STEFANI, La Bibbia di Michelangelo, Torino 2015, 38).

(3) Cf. B. BENATS, Il ritmo trinitario della verità. La teologia di Ireneo di Lione, Roma 2006, 261. Al contrario di quanto afferma Ireneo, la Sapienza veterotestamentaria, a partire dalle affermazioni di san Paolo (cf. 1Cor 1,24-30) e dal prologo del Vangelo di Giovanni è tradizionalmente attribuita alla figura del Verbo.

(4) Dal punto di vista della composizione Jane Schuyler afferma che «questa femmina può essere letta come il componente mancante della Trinità». L’originale «this female can be read as the missing member of the Trinity» (J. SCHUYLER, The Female Holy Spirit in Michelangelo’s Creation of Adam, in «Studies in Iconography» 11 (1987), 126-127, p. 127). Il Concilio di Nicea del 325, nel simbolo di fede (DZ 125), aveva usato il genere neutro – αγιον πνεύμα – per nominare lo Spirito Santo, un’accezione né maschile né femminile, che però la latinità ha recepito secondo un’espressione maschile. Solo in tempi recenti si è riscoperta la “femminilità” di Dio come una caratteristica che riguarda comunque tutta la Trinità e non singolarmente le persone che la compongono.

Barbara Bianconi

Fonte immagini: Wikimedia commons

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